Quattro anni fa ho dovuto prendere per la seconda volta la decisione più difficile della mia vita: se continuare o no una gravidanza. La prima volta era stato dieci anni prima, quando avevo dovuto decidere la stessa cosa. In quel momento avevo de


ciso di abortire e avevo (avevamo) potuto trovare i soldi per pagarlo.


Quattro anni fa ho deciso di essere madre e con tale decisione è venuta un'ondata enorme di abbondanza, e anche di frustrazioni, e soprattutto di decostruzione: un punto di vista politico e sociale sul ruolo materno. Tutti i giorni mi chiedo che cosa penso e sento a proposito dell'aborto, e tutti i giorni mi chiedo che cosa penso e sento a proposito della maternità. Entrambe le domande mi portano allo stesso punto: oggigiorno, allo stato attuale delle cose, la maternità è un ruolo su cui generalmente ricadono tutti gli sguardi pubblici che ci giudicano come gestanti, educatrici, formatrici di futurx soggettx politicx. Ciononostante, al momento di esercitare la maternità ci ritroviamo piuttosto sole. Non c'è scampo dalla prigione in cui si trasformano i nostri corpi dal momento in cui nasciamo, i corpi delle donne e delle persone gestanti.


Quando avevo 7 anni un professore di educazione fisica si permise di aprirmi un bottone della maglietta mentre mi chiedeva se avevo caldo. A 7 anni sentii che non mi era piaciuto e gli dissi che era un cagone. Ottenni che mi dicesse che non andassi più alle sue lezioni se non volevo. A 11 anni sfuggii a un parente stretto che intendeva abusare di me perché mi resi conto che quegli abbracci non erano affettuosi, svicolai in qualche modo e mi dette qualche soldo per le caramelle. 


Non è che mi piaccia raccontare la mia vita privata, ma la rendo nota perché è una questione pubblica. È una questione pubblica parlare del modo in cui, da quando nasciamo, i nostri corpi di donne sono vulnerati e violentati. Vulnerabilità e violenza non solo fisiche, bensì integrali, visto che se ci ribelliamo veniamo espulse, estorsionate, minacciate, e un sacco di altri violenti eccetera.


Fin da quando ero molto piccola sono cresciuta sentendo che il mío corpo non era mio, che poteva essere oggetto, ma mai soggettx. Adesso me ne rendo conto, a quasi 40 anni di vita, 4 di essere madre e svariati di decostruzione femminista.


Quello che imparai a pochi anni fu che dovevo coprirmi, vergognarmi, fare i conti con il possibile desiderio dex adultx per il mio corpo.

E il mio desiderio?

Il mio punto di vista?

La mia volontà?

A me, che da bambina mi piaceva tantissimo stare nuda perché era la cosa più bella del mondo! Oggi guardavo mia figlia in piazza di fronte alla cattedrale: si toglieva i vestiti e voleva correre nuda e adesso sono io a volerla coprire.

Perché?

Perché ho paura.

Molta, molta paura.

Le stesse paure che avevo da piccola.

Le stesse ma peggiori.

Perché adesso sono io quella che deve prendersi cura, quella che deve proteggere.

E siamo di nuovo al ruolo materno.

Chi si prende cura, protegge e conserva la vita di quellx che sì sono natx? Parliamo di attenzioni, parliamo di tempo, parliamo in forma integrale di tutto ciò che fa sì che un soggettx possa essere felice. Con la mano sul cuore, quantx si sono presi cura di qualcuno? Quanti si sono occupati di mantenere in vita una creatura? Quantx di quellx che sì l'abbiamo fatto ci siamo sentitx solx e allo stremo delle forze?


Non è facile essere responsabile di una vita. Non è per niente facile. Si dibatte sull'aborto sicuro e gratuito e magari fosse la punta dell'iceberg di tutti i dibattiti che dobbiamo a noi stessx come società argentina, se davvero ci importano x soggettx che diventeranno x bambinx che sì nascono. Che stiamo cercando di far nascere come frutti del desiderio. Del desiderio di assumersi la responsabilità di una vita. In una società in cui il ruolo materno è allo stesso tempo romanticizzato e invisibilizzato. In cui le nostre nonne sono state "fattrici pagate con pane", che mettevano al mondo 8, 9, 13 ecc. figlx. Compiendo lavori di cura, invisibilizzate. Il loro unico ruolo: serva di notte, serva di giorno. Servire. E adesso Raúl se ne esce con: usate il preservativo, mucchio di troie, se vi piace scopare, prendetevi le vostre responsabilità. Questa è la mentalità prevalente nel discorso pro vita. Quando veniamo da generazioni di donne serve, violentate, mutilate, assassinate in nome del desiderio altrui. Quando il nostro corpo non è mai stato nostro. Quando hanno abolito la nostra volontà di desiderare se vogliamo o no essere madri, perché è il nostro futuro, perché è solo quello che sappiamo fare, perché se sei persona gestante e ti avvicini ai 40 e non hai figli, tornano le domande sul tuo corpo e sulla maternità.


E il desiderio? Il nostro desiderio? Raúl, ma davvero mi stai chiedendo che chiuda le gambe o che, se le ho aperte (o me le hanno aperte), il mio corpo si prenda nuovamente la responsabilità del tuo desiderio e della tua morale? Quando il mio corpo non mi è mai potuto appartenere, perché l'hanno etichettato come hanno voluto loro. Perché ho dovuto adattarmi, rimpicciolirmi, isolarmi, segregarmi perché ho detto No quando hanno provato a far violenza al mio corpo. Sono cresciuta sentendo che non consegnare il mio corpo al desiderio altrui comportava un prezzo molto caro: quello della solitudine, dell'esclusione. 


Per questo sono militante, per questo mi riunisco con altre donne e mettiamo a nudo le storie che a noi tutte sono successe, le storie di tutte noi con i nostri corpi, che tutte sul corpo ci portiamo addosso. Perché siamo cresciute sentendo che voler portare il nostro corpo al di fuori dello sguardo, del desiderio e della morale altrui, significava pagare con dolore. Con il dolore del non-privilegio, con il non poter dire, con il non-luogo in cui ti trovi ancorata quando sei esclusa.


Succedono mille cose in un coito, tutte diverse, la maggior parte delle quali non le conosco. Quello che posso assicurare è che da pochissimo comincia a sorgere un punto di vista genuino e luminoso a proposito del desiderio delle donne (e delle persone gestanti), a proposito delle mal chiamate minoranze (perché minoranze non siamo). Abbiamo appena cominciato a parlare e a condividere ciò che ci piace e ciò che non ci piace, abbiamo appena cominciato a poter guardare tutto il male che ci ha fatto crescere in funzione del desiderio altrui. Abbiamo appena cominciato a renderci conto di quanto ci manca essere quella bambina che correva nuda senza colpa e in libertà.

A renderci conto di tutto, tutto, tutto quello che abbiamo perso.

Ed è una sconfitta sociale.

Tutti quei corpi assassinati, mutilati, desaparecidos in nome del desiderio altrui.

Tutti quei corpi vivi ma estranei al loro stesso desiderio.


Ci dobbiamo molte cose, tra le quali pensare perché il desiderio e l'appagamento sessuale delle donne sono trattati come argomenti bastardi, perché non se ne può parlare, e migliaia di eccetera.


Mentre scrivo mi chiama la bambina perché vuole la tetta che prende ancora, è il contatto di cui ha bisogno per dormire serena.


Mi piace pensare che posso continuare a proteggere i sogni della mia bambina, mi piace pensare che posso continuare ad abbracciare e a proteggere il suo desiderio, mi piace pensare che lei avrà e che noi avremo una legge che non ci obblighi a continuare a partorire senza coscienza né diritti né opzioni.


Ci dobbiamo migliaia di dibattiti e di decostruzioni.

Per cominciare: che l'aborto sia legale, sicuro e gratuito.

Educazione sessuale per decidere,

anticoncezionali per non abortire,

aborto legale per non morire.

Questa è la punta dell'iceberg.


Così come tutto ciò smuove a tuttx noi le fibre più intime relative alla vita, per favore, cerchiamo di essere onestx e coerenti e di non smettere di pensare alle migliaia di implicazioni di questa legge, data la storicità e l'uso politico del corpo della donna.


Siamo onestx e usciamo dal nostro luogo di privilegio, perché altrimenti nessun dibattito è possibile. Prendiamoci cura soprattutto dex bambinx già natx, siamo adultx responsabili capaci di offrire cure di qualità, in ruoli in cui l'educazione sia condivisa o in tribù, mai in solitudine.


I semi richiedono mille attenzioni per compiere il loro ciclo, così come gli esseri umani per diventare soggetti di diritto, di desiderio e di responsabilità. Smettiamo di romanticizzare la procreazione, la gravidanza, la maternità.


La maternità è stata, storicamente, un compito solitario e squilibrato. In molte ce lo portiamo addosso. Molte convivono con i progenitori dex loro figlx e ciononostante sono le uniche responsabili delle cure, senza potersi occupare del proprio corpo e del proprio desiderio.


Parliamo anche di questo.

Ridateci i nostri corpi, ridateci il nostro desiderio e il nostro diritto a godere.

#SeráLey


Guadalupe García Dupouy

traduzione: Caterina Camastra




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