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Visualizzazione dei post da agosto, 2021

SOPRAVVIVENZA ASPERGER IN UN MONDO CONFIGURATO PER NEUROTIPICI

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La socializzazione neuronormativa é chiassosa: é organizzata, spesso, in luoghi affollati, carichi di luci, colori, rumori, odori che possono provocare ad una persona autistica un sovraccarico sensoriale e fomentare ansia sociale. Spesso, quindi, le persone autistiche non frequentano contesti sociali perché la socializzazione diventa estenuante e servono diverse ore o giorni per riprendersi, fisicamente e mentalmente. Pare che gli unici canali di socializzazione accettati, siano feste, concerti, locali, tutto il resto pare rientri in una tipologia socialmente categorizzata come "sfigata". Spesso mi sento esclusa da eventi LGBT*, esistono solo concerti, feste, spettacoli affollati che non facilitano l'ingresso in un gruppo da parte di una persona che non conosce nessuno del gruppo giá pre-esistente. Perché non si organizzano eventi queer di cucito o ricamo? Di permacultura? Di dibattiti ecologico? Di letteratura queer? Di lavorazione del legno? Di pittura? Di disegno? Etc.

AUTISM ACCEPTANCE DAY by Caterina

Il 2 aprile ricorre l'Autism Acceptance Day. Il 18 ottobre 2019 ho ricevuto diagnosi ufficiale di Autismo, livello 1 (ex. Sindrome di Asperger). Sebbene rientri nel DSM, al momento si sta fortunatamente diffondendo una prospettiva depatologizzante dell'autismo, inquadrata come variante neurobiologica rispetto ad una presunta "norma". Autismo come neurodiversità e caratteristica intrinseca dell'individuo, non come malattia da cui guarire. Da qualche anno, le persone autistiche stanno facendo sentire la loro voce, si fanno loro stesse fautrici della narrazione dell'autismo. Hanno ridisegnato il simbolo dell'autismo, rifiutando "il pezzo di puzzle mancante" e il blu della dannosa associazione Autism Speaks: l'infinito, coi colori dell'arcobaleno (vedasi immagine allegata), a rappresentare il concetto principale della teoria neuroqueer, che racchiude in sé sia l'intersezionalità (frequente) tra identità di genere non conforme, orientament

"C.A.G.N.A, T.R.O.I.A., Z.O.C.C.O.L.A: E SE NON FOSSERO INSULTI?

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Infatti non lo sono. A meno di non attribuirgli un potere e una valenza che per una donna libera non hanno ragion d'essere. A tale proposito Maria Galindo scrive: " L'insulto è una forma di violenza psicologica che per espletarsi ha bisogno di avere un effetto negativo su di te. Insultarti è un atto politico di potere per paralizzarti; ridere dell'insulto è un atto politico per affermare la tua libertà". C'è una diffusa, ipnotica convinzione collettiva che permette di rendere offensive certe espressioni, certe parole il cui significato intrinseco dice tutt'altro. Cosa intende il popolino sgherro della morale pubblica quando usa certi appellativi? È semplice: li brandisce per linciare una donna che afferma sè stessa, la sua sessualità e/o sensualità. Liberamente e consapevolmente. E per il popolino della "decenza femminile" non c'è onta più grave per una donna di quella di essere libera. Libera da ruoli imposti, da costumi e norme patriarcali,