"C.A.G.N.A, T.R.O.I.A., Z.O.C.C.O.L.A: E SE NON FOSSERO INSULTI?



Infatti non lo sono. A meno di non attribuirgli un potere e una valenza che per una donna libera non hanno ragion d'essere. A tale proposito Maria Galindo scrive:
" L'insulto è una forma di violenza psicologica che per espletarsi ha bisogno di avere un effetto negativo su di te. Insultarti è un atto politico di potere per paralizzarti; ridere dell'insulto è un atto politico per affermare la tua libertà".
C'è una diffusa, ipnotica convinzione collettiva che permette di rendere offensive certe espressioni, certe parole il cui significato intrinseco dice tutt'altro. Cosa intende il popolino sgherro della morale pubblica quando usa certi appellativi? È semplice: li brandisce per linciare una donna che afferma sè stessa, la sua sessualità e/o sensualità. Liberamente e consapevolmente. E per il popolino della "decenza femminile" non c'è onta più grave per una donna di quella di essere libera. Libera da ruoli imposti, da costumi e norme patriarcali, libera di stare in qualunque posto e non "al suo posto", libera di disporre del suo corpo e della sua vita, compresa quella sessuale, come le pare. Libera dai condizionamenti sociali che la vorrebbero discreta, silenziosa, modesta, sottomessa, in odore di santità. Perché il popolino della decenza femminile è pieno di baciapile ma anche di paternalisti e fedeli ancelle senza alcun credo religioso. Con una saldissima convinzione in comune: le donne, secondo loro, sono un'entità unica, un gregge privo di individualità, aderente alle norme e agli usi che LORO hanno stabilito per tutte. Brave mogli, madri, sorelle, amiche, figlie, dove quel "brave" è a loro insindacabile giudizio. Non soggetti diversi, pensanti e autonomi.
E qui viene fuori il paradosso, o meglio, quella strana forma di dissociazione mentale che fa urlare frasi di sdegno e di condanna ai femminicidi da un lato, e dall'altro rende complice e mandante il popolino della decenza femminile. Il termine "femminicidio" ha un significato preciso: indica il movente dell'uccisione di una donna per mano di un uomo che infligge una punizione definitiva a colei che considera di sua proprietà, o comunque disobbediente alla sua autorità. Ma anche il linguaggio del popolino moralista è una forma di punizione per tutte quelle che si discostano dai loro canoni di accettazione. Quando le addita, affibbiando loro appellativi sessisti e sessuofobi, quando le richiama nei ranghi di un genere costruito, artificiale e invocato come "naturale", di fatto istiga all' odio misogino, alla punizione, allo stupro, al femminicidio. Quando attribuisce parte della colpa alla vittima di uno stupro evidenziando la di lei imprudenza, i suoi abiti succinti, le sue abitudini sessuali "promiscue", di fatto solleva lo stupratore dalla sua responsabilità. Che è sempre totale, mai condivisibile con la vittima. E questa stupefacente visione colpevolizzante nei confronti della vittima trova regolare conferma anche nei media, nelle caserme, nei tribunali.
Le norme di accettazione sociale sono iatture che causano discriminazioni e sofferenze atroci. Quelle reiterate nei confronti delle donne "non conformi", a seconda dei territori e delle culture, sono causa di un vero e proprio genocidio. Inteso come eliminazione sistematica di donne che disattendono le aspettative del loro genere. Il popolino della decenza femminile è mandante e complice. Possiamo e dobbiamo contrastarlo con i nostri femminismi. Perché i femminismi sono tanti quanti le persone che aspirano alla libera espressione di sè. Perché le donne sono persone, non proprietà. Perché una persona libera fa ciò che si sente di fare. Perché una donna libera decide di coprirsi,scoprirsi, di non fare sesso, di fare sesso, con molt*, con un* sol*, spesso, di rado, sobria, alticcia; accetta proposte da mezzo mondo e rifiuta quelle dell'altro mezzo; esce per rimorchiare, per passeggiare, da sola, in gruppo, di giorno, di notte. DECIDE LEI. E se non ti piace il modo in cui ha deciso di condurre la sua vita, se non ti piace ciò che fa con il suo corpo, non hai che da ignorarla.
Dunque se mi chiami c.a.g.n.a, t.r.o.i.a, z.o.c.c.o.l.a, io ti rispondo: grazie. Per neutralizzare la tua intenzione violenta, per usare il tuo insulto come un boomerang da rispedirti sui denti. Perché quel che dici di me con il tuo insulto è: sono libera, insofferente alla tua becera morale, strafottente del tuo giudizio, orgogliosa di non compiacere la tua miserabile, tristissima normativita'. Io rifiuto te e tutto ciò che rappresenti.
E fateci caso: il popolino della decenza femminile usa questo tipo di insulti anche per stigmatizzare donne che disprezzano per motivi che non hanno niente a che vedere con la loro (presunta) vita sessuale. Davanti ad una notizia di cronaca nera, che vede protagonista una donna colpevole di un crimine qualsiasi, fioccano i "t.r.o.i.a" invece degli "assassina". Perché fare sesso con chi, come e quando le pare, continua ad essere la colpa più grande di cui una donna possa macchiarsi, per il popolino della decenza femminile. Per me, invece, è uno dei tanti difficili e irrinunciabili traguardi delle Resistenze femministe.
Una cosa è certa: il moralismo è violento. I suoi effetti sociali sono violenti. Perché è repressivo e autoritario.
Ma il mio "grazie" all'insulto vince. Perché disorienta, destabilizza e lascia marcire nella loro frustrazione bacchettona i custodi della moralità. E mi fa ricordare di essere infinitamente migliore di loro.
C.a.g.n.e, t.r.o.i.e,z.o.c.c.o.l.e: fieramente, sempre.
(F)
Illustrazione
@lagattapigra

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