AUTISM ACCEPTANCE DAY by Caterina

Il 2 aprile ricorre l'Autism Acceptance Day.

Il 18 ottobre 2019 ho ricevuto diagnosi ufficiale di Autismo, livello 1 (ex. Sindrome di Asperger). Sebbene rientri nel DSM, al momento si sta fortunatamente diffondendo una prospettiva depatologizzante dell'autismo, inquadrata come variante neurobiologica rispetto ad una presunta "norma". Autismo come neurodiversità e caratteristica intrinseca dell'individuo, non come malattia da cui guarire.
Da qualche anno, le persone autistiche stanno facendo sentire la loro voce, si fanno loro stesse fautrici della narrazione dell'autismo. Hanno ridisegnato il simbolo dell'autismo, rifiutando "il pezzo di puzzle mancante" e il blu della dannosa associazione Autism Speaks: l'infinito, coi colori dell'arcobaleno (vedasi immagine allegata), a rappresentare il concetto principale della teoria neuroqueer, che racchiude in sé sia l'intersezionalità (frequente) tra identità di genere non conforme, orientamento sessuale non eterosessuale, ecc e l'identità autistica, sia il sottolineare la propria differenza, il rifiuto di piegarsi ad una norma.
Se avessi saputo anni fa di essere neuroqueer, avrei avuto gli strumenti per non forzarmi in comportamenti per me tossici e, conseguentemente, dannosi anche per terze persone, alcuni dei quali talmente reiterati nel tempo da esaurire le mie energie nella finzione. La finzione di essere eterosessuale, di essere neurotipica, di essere norma.
Quando la "norma" mi chiede perché insista sulle "etichette" rispondo che è perché sono identitarie, non prescrittive.
La norma non si interroga sull'essere norma, non si pone domande sul suo essere standard. La norma richiede che ci si pieghi per entrare nelle sue gabbie sociali fittizie e di non metterne in dubbio l'esistenza. Monogamia, amatonormatività, eteronormatività, fallocentrismo, maternità come ruolo sociale imposto, sessuofobia, cultura dello stupro, binarismo di genere, monosessismo, abilismo, ecc. La norma quindi vacilla di fronte ad una identità che in quanto dissidente e difforme non solo nelle gabbie sociali non entra, ma ne mette in discussione profondamente la stabilità o proprio la sua essenza.
La persona autistica è inappropriata socialmente, parla con leggerezza e trasparenza di argomenti tabù: malattie, sesso, non monogamia. La persona autistica è spesso LGBT+: mette in crisi il modello di coppia eteronormata. La persona autistica esplicita i suoi desideri e i suoi confini: mette in crisi la cultura dello stupro e dell'assenza di consenso.
Quando dite ad una persona queer (autistica, LGBT+, e per ragioni politiche includo anche: disabile, non caucasica, povera) che:
- che la sua "etichetta" non ha valore ("perché tutte queste etichette? Siamo tutti umani" --> invalidazione),
- che deve mantenere un tono cortese quando viene calpestata ("come sei aggressiva quando parli, dovresti scaldarti meno per essere presa sul serio" --> tone policing),
O quando:
- chiedete delle prove per legittimare la sua identità (es. "per dirti veramente bisessuale devi aver avuto rapporti sessuali con più di un genere", "non sei disabile se riesci a camminare", "non sembri autistica, ma chi te l'ha fatta la diagnosi?"),
- chiedete a questa persona di uniformarsi ("dovresti stare in coppia monogama, avere una relazione romantica stabile", "smettila di ostentare il tuo orientamento sessuale")
- o quando pensate di saperne più di lei sulla sua identità ("le persone autistiche sono così, quindi tu non lo sei")
state aggredendo questa persona, senza mezzi termini, e rinforzate i sistemi che discriminano queste categorie.
Siamo disponibili al confronto ma non tolleriamo le aggressioni. Non usateci come insegnanti o maestri di vita: l'insegnante si pone in cattedra, noi invece vi chiediamo di provare a cambiare prospettiva.
Ogni volta che entrate in un palazzo chiedetevi se è accessibile a chi ha difficoltà deambulatorie; ogni volta che interagite con terzi chiedetevi se non state superando i limiti fisici di quella persona.
Proud to be neuroqueer.

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