Sopravvivenza Asperger in un mondo configurato per neurotipici (II)
Manuela Ferrari
La socializzazione
neuronormativa è chiassosa: è organizzata, spesso, in luoghi affollati, carichi
di luci, colori, rumori, odori che possono provocare ad una persona autistica
un sovraccarico sensoriale e fomentare ansia sociale. Spesso, quindi, le
persone autistiche non frequentano contesti sociali perché la socializzazione
diventa estenuante e servono diverse ore o giorni per riprendersi, fisicamente
e mentalmente.
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Pare che gli unici canali di socializzazione accettati siano
feste, concerti, locali, mentre tutto il resto pare rientri in una tipologia
socialmente categorizzata come “sfigata”. Spesso mi sento esclusa da eventi
LGBT+, esistono solo concerti, feste, spettacoli affollati che non facilitano
l’ingresso in un gruppo da parte di una persona che non conosce nessuno del
gruppo già preesistente. Perché non si organizzano eventi queer di cucito o
ricamo? Di permacultura? Di dibattito ecologico? Di letteratura queer? Di
lavorazione del legno? Di pittura? Di disegno? Etc.
Spesso sono incappata in “non detti”, in “sottintesi”, in
“ma io intendevo un’altra cosa”, tutte cose per me terrificanti, che mi
impauriscono e causano uno stato di confusione molto lesivo e mi scoraggiano
ancora di più nel tentare la socializzazione.
Sono inciampata io stessa in mie
difficoltà nel riconoscere i miei sentimenti, ciò che provavo, come stavo
davvero (sono anche alessetimica, che significa avere difficoltà nel
riconoscere i propri stati d’animo o sentimenti); non ero minimamente in grado
di rispondere, non ero in grado di spiegare, e credo che questa sia la cosa più
difficile da far comprendere ad un altro essere umano.
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