Autismo e il problema della doppia empatia

 Quante volte hai sentito parlare dell'autismo?


"Le persone autistiche mancano di abilità sociali."


"Le persone autistiche non possono comunicare in modo appropriato."


"I deficit nella teoria della mente sono un tratto fondamentale dell'autismo."


"Le persone autistiche non hanno la capacità di provare empatia."


Queste affermazioni non provengono da persone autistiche. È disgustoso, non è vero? Soprattutto le ultime due. Ci sono un gran numero di persone là fuori che non solo credono effettivamente a quelle cose, ma continuano a difenderle, le pubblicano su riviste scientifiche e discutono ferocemente con chiunque osi sfidare questi presupposti.


Naturalmente, le affermazioni di cui sopra raccontano solo una parte della storia da una sola prospettiva (non autistica). Per quanto riguarda le ultime due, alle persone autistiche non manca la teoria della mente (ovvero la consapevolezza che altre persone hanno menti separate dalla propria), posso assicurarti, da autistica, che ne sono consapevole. Posso anche assicurarti che, da autistica, posso provare e provo empatia, infatti spesso provo un'empatia così intensa che spesso è travolgente. È solo che la esprimo in modo diverso. 


Per quanto riguarda le prime due, ho l'idea che la differenza non equivale necessariamente al deficit, e quindi non è giusto dire che le persone autistiche "non comunicano", infatti io ho passato gran parte della mia vita a tentare di comunicare ciò che nessuno sembrava riconoscere. Non è proprio giusto dire che gli autistici mancano di abilità sociali, piuttosto ho semplicemente abilità sociali diverse. Ogni giorno, infatti, segnalazioni aneddotiche e dati scientifici supportano sempre di più l'idea che l'autismo non sia, di fatto, un disturbo sociale ma piuttosto una differenza nell'elaborazione e integrazione sensoriale. I cosiddetti "deficit nella reciprocità sociale" sembrano essere un buon modo per identificare le persone autistiche da una prospettiva, motivo per cui è uno dei due grandi criteri diagnostici per l'autismo nel DSM-5, ma di per sé non sono il nucleo di ciò che l'autismo in realtà è, né quella descrizione da sola descrive accuratamente l'intero quadro.


Le differenze nell'elaborazione sensoriale influenzano ovviamente quelle che potrebbero essere chiamate "abilità sociali", ad esempio io, da autistica, non integro le informazioni visive in arrivo in un modo che mi consenta di notare facilmente le minuscole differenze nella posizione del corpo e nell'espressione facciale che sono utilizzate, invece, nella comunicazione neurotipica, quindi posso "perdere" i cosiddetti "segnali sociali". L'integrazione sensoriale influisce anche sui movimenti motori e così io, ad esempio, potrei non mostrare il linguaggio del corpo che le persone non autistiche si aspettano per il modo in cui mi sento dentro. Si noti, tuttavia, che queste sono semplicemente differenze e vengono presentate come deficit solo da una prospettiva non autistica. Da un punto di vista autistico, mi viene da dire che sono le persone non autistiche che mancano di abilità sociali.


C'è una interruzione nella comunicazione tra i neuotipi. Questo è chiamato: Il problema della doppia empatia.


Il problema della doppia empatia è un cambio di paradigma nel modo in cui noi, come società, pensiamo all'autismo. È l'idea che piuttosto che vedere le differenze sociali autistiche come deficit intrinseci, che invece riconosciamo che forse la cattiva comunicazione non autistica ha lo stesso ruolo nelle difficoltà sociali autistiche quanto lo fanno le persone autistiche stesse. Il non-autismo è altrettanto sconcertante per le persone autistiche quanto l'autismo lo è per le persone non autistiche (sebbene gli autistici abbiano il vantaggio di vivere in un mondo dominato da persone non come noi, quindi ci abituiamo rapidamente). 

Invece di insistere sul fatto che le persone autistiche si devono adattare continuamente alle norme di comunicazione neurotipiche, le persone non autistiche hanno la responsabilità di adattarsi agli stili di comunicazione autistici. Significa riconoscere che le persone autistiche possono comunicare in modi diversi, ma questo non significa che non stiano comunicando. 


Dimostriamo il problema della doppia empatia con un esperimento informale. Puoi partecipare anche tu.


Immagina una donna che piange seduta al centro, circondata da altre persone sedute di fianco a lei. Rispondi a questa domanda: come la fanno sentire le persone sedute intorno a lei? Cosa dovrebbero fare le persone sedute intorno a lei per farla sentire meglio? Immagina di essere la donna che piange. (Puoi pubblicare le tue risposte nei commenti, se lo desideri. Assicurati di menzionare se sei autistico o no!)


Questa immagine è stata pubblicata su Twitter con le stesse domande. Ciò che è completamente affascinante (sebbene previsto) e dimostra abbastanza bene il problema della doppia empatia sono le differenze nelle risposte tra persone autistiche e non autistiche.


Le risposte non autistiche contenevano diverse risposte ricorrenti. Le risposte includevano cose come “le persone intorno alla donna che piange la stanno aiutando, la confortano e la stanno facendo sentire meglio. Dovrebbero restare lì e continuare a parlarle, aiutandola a stare meglio ".


Le risposte autistiche contenevano anche diverse risposte ricorrenti, ma sono molto diverse da quelle non autistiche. Le risposte autistiche tendevano ad essere qualcosa del tipo "le persone sedute intorno alla donna che piange la stanno soffocando e la fanno sentire peggio. Dovrebbero andarsene e lasciarla sola. Non dovrebbero essere lì, tutti seduti attorno a lei in quel modo, e la donna probabilmente è a disagio per il fatto che la persona accanto a lei le stia toccando la spalla. "


Capisco, anche io avrei risposto come le altre persone autistiche; se piango e mi sento giù di morale o sovraccarica non le voglio tutte quelle persone attorno. Mi sentirei peggio. Forse me ne basta una di persona, di fiducia, con cui il contatto fisico è effettivamente sensorialmente piacevole, nel caso in cui un abbraccio possa essermi utile. Però, indubbiamente mi sentirei soffocata, sentirei l’attenzione di tutti addosso, proverei più ansia e malessere, probabilmente aumenterebbe il mio sovraccarico, poi probabilmente, inizierei a perdere anche la razionalità, perché inizierò a pensare che magari le persone non capiranno la mia reazione, fraintenderanno e tantissime altre cose, le voci, gli sguardi, diventa tutto troppo.


C'è molta empatia in entrambe queste risposte. Tuttavia, la versione non autistica è probabilmente più "empatia" estroversa. Ma in entrambi i casi c'è un sentimento per e nei confronti dell’altra persona. Ma ovviamente, ci sono alcune chiare differenze nell'empatia autistica. Anche se le persone non autistiche possono sentirsi confortate da un tocco sulla spalla, ciò potrebbe essere una grave avversione sensoriale per molte persone autistiche e, naturalmente, le farebbe sentire peggio. L'intera idea di "parlare attraverso" i problemi rischia di sopraffare molti autistici che preferirebbero essere lasciati soli per diminuire l'input sensoriale in modo che possano calmarsi e decomprimersi.


Si noti che se la persona autistica o non autistica cercasse di applicare le proprie azioni empatiche all'altro gruppo, probabilmente non si otterrebbero buoni risultati. Il problema della doppia empatia è uno dei motivi per cui penso che così tante persone abbiano tratto conclusioni errate sull'autismo. Osservano che le persone autistiche non mostrano empatia nel modo in cui ci si aspetta, né mostrano il giusto linguaggio del corpo nel giusto contesto, né reagiscono come ci si aspetta in contesti neurotipci. Tuttavia, fraintendono la prospettiva autistica applicano congetture, che portano alla conclusione che le persone autistiche mancano di empatia, emozioni, ecc.


Questo sta ancora accadendo nella ricerca sull'autismo. Le congetture selvagge e disinformate sull'autismo spacciate come fatti non si limitano alla psicologia degli anni '60. Ann Memmott (Ann's Autism Blog) è una professionista dell'autismo che fa molto lavoro cercando di correggere idee sbagliate sull'autismo e cambiare le narrazioni che si verificano nei campi professionali e nella ricerca sull'autismo. Una volta ha ricordato su Twitter di aver letto un documento "scientifico" pubblicato, in cui il ricercatore affermava di aver trovato prove evidenti che le persone autistiche mancano di empatia. Penso di ricordare che lo chiamava "The 'Oops' Experiment". In cosa consisteva l'esperimento? I ricercatori hanno preso un gruppo di bambini autistici (perché l'autismo è solo nei bambini, non lo sapevi? Uso il sarcasmo) e individualmente hanno detto loro che avrebbero fatto un test/gioco con una scatola di fiammiferi. Il ricercatore poi *accidentalmente* di proposito ha rovesciato tutti i fiammiferi fuori dalla scatola sul pavimento. Se i bambini non si sono piegati immediatamente e non hanno iniziato a raccogliere i fiammiferi (con zero suggerimenti), si è detto che non avevano empatia. Non importa il fatto che la maggior parte di quei ragazzi probabilmente non aveva nemmeno elaborato ciò che era appena successo prima che il ricercatore annotasse negli appunti "mancanza di empatia". Non puoi aspettarti di determinare la totalità dell'empatia con un compito sciocco.


Ma onestamente a questo punto sono convinta che, anche se inconsciamente, molti ricercatori sull'autismo vedono le persone autistiche come letteralmente meno che umane. Ci vedono come topi da laboratorio. Questa è la migliore spiegazione che posso trovare sul perché così tanti sono così contrari a collaborare, parlare e ascoltare le persone autistiche. Questo non è un atto d'accusa nei confronti di tutti gli psicologi, psichiatri e neurologi che studiano l'autismo, ovviamente, ci sono molti bravi scienziati sull'autismo là fuori, alcuni dei quali sono autistici a loro volta. È solo una tendenza generale che sembra essersi palesata: il completo fraintendimento della prospettiva autistica. Questo dimostra fortemente il problema della doppia empatia. Non sono solo le persone autistiche a fraintendere i non autistici, va in entrambe le direzioni. Questa è certamente una strada a doppio senso.


Il concetto alla base del problema della doppia empatia ha una potenziale applicazione oltre la semplice ricerca, ovviamente. Colpisce l'interazione quotidiana. Ci sono state alcune ricerche preliminari che suggeriscono che il motivo per cui le persone autistiche sono spesso socialmente rifiutate ha molto poco a che fare con l'autistico persona e più a che fare con il modo in cui le persone non autistiche che li circondano li percepiscono. Non è che la mancanza di abilità sociali stia impedendo loro di fare amicizia, è che la maggior parte delle persone intorno a loro sono prevenute nei confronti della diversità e quindi rifiutano le persone autistiche e/o non hanno idea di come comunicare effettivamente con la persona autistica.


Vengono impiegate così tante risorse nel tentativo di insegnare a bambini, adolescenti e adulti autistici "abilità sociali", spesso con metodi eticamente discutibili. Ma se le persone non autistiche hanno altrettanti problemi a comunicare con altre persone autistiche o neurodivergenti, allora perché non proviamo a insegnare alle persone non autistiche le abilità sociali autistiche? Certamente migliorerebbe molto la vita delle persone autistiche. E se le persone che potrebbero interagire con molte persone autistiche, come medici, primi soccorritori, terapisti, insegnanti fino ad arrivare a tutti...ricevessero una formazione su come la comunicazione autistica potrebbe essere diversa dalla loro? Non solo formazione generale sulla "consapevolezza" dell'autismo, ma abilità pratiche?


Come al solito, si spera che questo ti abbia dato qualcosa su cui riflettere. Mi piace riflettere e pensare. Mi piace far riflettere le persone su nuove idee. 




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